BIOGRAFIA

1899 -1920
Gli anni della scuola in Italia, l’arruolamento e il diploma di perito edile a Milano

Lucio Fontana nasce il 19 febbraio 1899 a Rosario, in Argentina, da genitori di origine italiana. La madre, Lucia Bottini è attrice di teatro, il padre, Luigi Fontana, scultore. Arrivato in America Latina nel 1890 Luigi è il primo artista ad aprire uno studio di scultura in città che diviene presto un punto di riferimento culturale, attivo anche nella formazione degli scultori autoctoni. Dall’età scolare, al fine di garantirgli una solida formazione nel solco della tradizione familiare, Lucio viene mandato in Italia per gli studi ed affidato ad alcuni parenti di Castiglione Olona, in provincia di Varese. Dal 1906 al 1911 frequenta il Collegio Torquato Tasso di Biumo Inferiore (VA) e, una volta presa la licenza elementare, prosegue con la scuola tecnica del Collegio Arcivescovile Ballerini, a Seregno. Inizia così l’apprendistato dell’artista, cominciando con la pratica nello studio del padre scultore (rientrato nel frattempo in Italia) e studiando, contemporaneamente, presso la Scuola dei maestri edili dell’Istituto Tecnico “Carlo Cattaneo” di Milano e la Scuola degli Artefici annessa all’Accademia di Brera.

Nel 1916, per il sopraggiunto coinvolgimento dell’Italia nella prima guerra mondiale, Fontana interrompe la Scuola e si arruola come volontario raggiungendo il grado di sottotenente di fanteria. Viene ferito sul Carso e congedato con la medaglia d’argento al valor militare. Nel 1921 è di nuovo a Milano, dove riprende così gli studi conseguendo il diploma di perito edile.


1922-1930
Gli anni della formazione

Nel 1922 torna nel paese di nascita, Rosario, ove inizia il lavoro nell’atelier del padre, “Fontana y Scarabelli”, la cui importante produzione è focalizzata sulla scultura pubblica e commemorativa. Dopo il successo nel 1924 al concorso per un rilievo alla memoria di Louis Pasteur per la facoltà di Medicina dell’Università di Rosario, opera che segna il suo esordio nel panorama delle arti, decide, insieme al pittore Julio Vanzo, di aprire un suo studio di scultura. Risalgono a questo periodo le prime partecipazioni ai diversi Salon, le partecipazioni a concorsi pubblici e le prime commissioni importanti, tra cui il monumento all’educatrice Juana Elena Blanco per il cimitero di El Salvador a Rosario. Verso la metà del 1927 torna a Milano, dove si iscrive al primo anno di scultura dell’Accademia di Belle Arti di Brera (1927-28). Qui inizia a seguire i corsi di Adolfo Wildt e la Scuola del marmo: a fine anno è promosso al quarto corso e, al termine del 1929, si diploma presentando come lavoro finale la scultura El auriga (1928).

In questo periodo è ancora forte l’influenza del Maestro e si riscontra, tra le altre opere, nelle diverse realizzazioni per il Cimitero Monumentale di Milano, luogo ove dalla metà del 1800 per tradizione si cimentano gli scultori più importanti attivi sul territorio (Cappella Mapelli, 1928; Loculi Pasta e Lentati 1929, Tomba Berardi, 1930). Il 1930 è per Fontana un anno colmo di avvenimenti significativi: partecipa alla XVII Biennale di Venezia, presentando le sculture Eva (1928) e Vittoria fascista (1929), ed espone alla Galleria il Milione di Milano Uomo nero (1930), opera di profonda rottura.


1931-1940
Le prime sperimentazioni tecniche e figurative e il ritorno in Argentina

Con Uomo nero inizia una nuova fase di ricerca che vede la nascita di proposte scultoree eseguite in gesso o terracotta ove si riscontra ora un segno sintetico e primitivista, ora l’inedito utilizzo del colore in chiave anti naturalista e anti rappresentativa. Risalgono a questi anni anche le prime importanti collaborazioni con gli architetti, tra cui emblematica è la partecipazione nel 1933 alla V Triennale dove collabora con gli architetti Luigi Figini e Gino Pollini e il gruppo BBPR.  Tra il 1934 e il 1935 Fontana, avvicinatosi al gruppo parigino “Abstraction-Création” e alla scena artistica astrattista che gravitava attorno alla Galleria Il Milione, realizza inoltre una serie di sculture non figurative esposte in questa galleria nell’ambito di una discussa mostra personale, che segna di fatto la prima esposizione di scultura astratta in Italia.

In continua ricerca, dal 1936 al 1939 si dedica con particolare intensità alla scultura ceramica, lavorando principalmente ad Albissola, nella manifattura di Giuseppe Mazzotti, padre dell’amico Tullio d’Albissola, scultore e poeta futurista, ma anche in Francia presso la Manufacture Nationale de Sèvres, una delle più rinomate fornaci artistiche d’Europa, ove nel 1937 trascorre alcuni mesi. Alla produzione artistica concepita in questi contesti verranno dedicate tre importanti mostre personali alla Galerie Jeanne Bucher-Myrbor (1937) e alla Galleria Il Milione (aprile e dicembre 1938). Continuano le collaborazioni con architetti che si misurano con importanti commissioni in Italia e all’estero, tra cui Giancarlo Palanti, Luciano Baldessari, Marco Zanuso, Marcello Piacentini, BBPR e tanti altri, così come la sperimentazione artistica autonoma che lo conduce alla realizzazione nel 1940 di sculture a tuttotondo in mosaico colorato. Tuttavia, nella primavera del 1940, da Genova si imbarca per l’Argentina per seguire con massimo impegno il nuovo concorso per il Monumento Nacional a la Bandera, da erigersi a Rosario.


1941-1950
Gli anni dell’insegnamento in Argentina e la nascita dello Spazialismo

Pienamente ambientato in Argentina, la sua attività di scultore è sempre molto intensa e riscuote vivo interesse, diventando protagonista di numerose esposizioni e ricevendo riconoscimenti. Inoltre, sarà continuativa in questi anni l’attività di docenza, prima come professore di “modellato” alla Escuela de Artes Plasticas di Rosario, poi di “decorazione” alla Escuela Nacional de Bellas Artes Prilidiano Pueyrredon di Buenos Aires e di “modellato” alla Escuela de Bellas Artes Manuel Belgrano a Buenos Aires. Nel 1946 è tra i fondatori e docenti di Altamira. Escuela Libre de Artes Plàsticas a Buenos Aires, che diviene un importante centro di diffusione culturale. Dal contatto con giovani artisti e intellettuali e dalle nuove idee di ricerca che respira, nasce nel 1946 il Manifiesto Blanco, pubblicato in forma di volantino e redatto da Bernardo Arias, Horacio Cazenueve, Marcos Fridman, firmato anche da Pablo Arias, Rodolfo Burgos, Enrique Benito, César Bernal, Luis Coli, Alfredo Hansen e Jorge Rocamonte.

Nello stesso anno, in un gruppo di disegni dell’artista compare l’espressione “Concetto Spaziale”, titolazione che accompagnerà gran parte della sua successiva produzione artistica. Il 22 marzo del 1947 è ancora la volta dell’Italia: si imbarca a Buenos Aires sul vapore Argentina. Insediato di nuovo a Milano esegue due sculture in gesso – Concetto spaziale, Uomo atomico e Scultura spaziale (presentata alla Biennale di Venezia del 1948) – che sanciscono l’avvio di una ricerca completamente inedita, non più figurativa ne astratta, ma autenticamente spaziale. Riprende inoltre ad Albissola il lavoro in terracotta e ceramica. Sempre a Milano entra in rapporto con un gruppo di giovani artisti e intellettuali gravitanti attorno alla Galleria del Naviglio di Carlo Cardazzo e, dopo incontri e discussioni, nasce in dicembre Spaziali il primo manifesto dello Spazialismo, firmato, oltre che da Fontana, dal critico Giorgio Kaisserlian, dal filosofo Beniamino Joppolo e dalla scrittrice Milena Milani.

Nel 1948, la seconda stesura del manifesto – seguita a breve da una terza versione: Proposta per un regolamento, 1950 – ribadisce l’esigenza di superare l’arte del passato, facendo “uscire il quadro dalla sua cornice e la scultura dalla sua campana di vetro”, e di produrre nuove forme d’arte utilizzando i mezzi innovativi messi a disposizione dalla tecnica.

Il 1949 segna un momento decisivo nella ricerca spaziale fontaniana, che si apre alla dimensione ambientale e pittorica:  Il 5 febbraio realizza alla Galleria del Naviglio Ambiente spaziale a luce nera, in cui una serie di sagome in cartapesta dipinte con colori fluorescenti sono appese al soffitto dello spazio espositivo completamente oscurato e illuminato solo con lampade di Wood, si tratta del primo “Ambiente spaziale” concepito da Fontana. Allo stesso anno risale l’avvio del ciclo dei “Buchi”, opere pittoriche dove all’intervento cromatico vengono aggiunti vortici di fori eseguiti con un punteruolo.

Prosegue anche la produzione ceramica che in questi anni trova importanti occasioni espositive tra cui Twentieth-Century Italian Art, al MoMA di New York (1949), e le Biennali di Venezia del 1948 e 1950. Il 1950 si chiude con la sua partecipazione al concorso per la V porta del Duomo di Milano, indetto dalla Veneranda Fabbrica del Duomo.


1951-1960
Il Neon e le ricerche degli anni Cinquanta

Il 25 aprile del 1951 sono giudicati i modelli presentati per il concorso per la porta del Duomo. Insieme a Luciano Minguzzi, Francesco Messina ed Enrico Manfrini, Fontana passa al secondo grado di concorso (vinto nel 1952 ex-aequo con Minguzzi) e vede le sue creazioni esposte nel salone centrale della IX Triennale di Milano. Sempre nell’ambito della Triennale, realizza Struttura al neon un grande arabesco di luce concepito per lo scalone d’onore del Palazzo dell’arte e Soffitto a luce indiretta nel vestibolo e nella hall, entrambi nel quadro di una strutturazione ambientale a opera degli architetti Luciano Baldessari e Marcello Grisotti. Partecipa inoltre al convegno De Divina Proportione esponendo i concetti che saranno raccolti quello stesso anno nel Manifesto tecnico dello Spazialismo.

Il 26 novembre firma il quarto manifesto:  Manifesto dell’arte spaziale. Continua a lavorare intensamente al ciclo dei “Buchi”, presentandoli per la prima volta in una mostra collettiva di arte spaziale alla Galleria del Naviglio e pochi mesi dopo nella stessa galleria in una personale. A Milano, nello stesso anno, sposa Teresita Rasini conosciuta nel 1930 e trasferisce il suo studio da via Prina al numero 23 di Corso Monforte.

Il 17 maggio firma il Manifesto del movimento spaziale per la televisione e partecipa con alcune opere alle trasmissioni sperimentali televisive della RAI di Milano, che inizierà la sua programmazione ufficiale solo due anni dopo. Negli anni Cinquanta, partecipa a rassegne artistiche di rilievo internazionale e alimenta con costanza la sua ricerca in ambito pittorico: in aggiunta al motivo dei buchi, le tele si arricchiscono di corposi elementi di colore e di frammenti di vetro, dando il via al ciclo delle “Pietre” (consacrate nel 1955, dopo la loro esposizione alla VII Quadriennale romana). Dal 1954 sviluppa ulteriormente il suo linguaggio, avvicinando, al ciclo delle “Pietre”, nuove creazioni identificate con la serie dei “Gessi” e con quella dei “Barocchi”. Alla Biennale di Venezia del 1958 ha un’intera sala per dare spazio alle sue più recenti produzioni: oltre ai “Gessi” e ai “Barocchi”, vengono esposti alcuni degli “Inchiostri” e delle sculture spaziali su gambo, a cui l’artista aveva iniziato a lavorare dal 1957. Al culmine della ricerca inseguita in questa decade, prendono forma i “Tagli”, concepiti sulla fine del 1958 e presentati per la prima volta l’anno seguente in mostre personali alla Galleria del Naviglio e alla Galerie Stadler a Parigi, e successivamente nello stesso anno presenti in importanti occasioni espositive: a Documenta a Kassel; alla V Biennale di San Paolo del Brasile.

Sul finire del decennio, Fontana concepisce anche la serie “Quanta”, nuclei di shaped canvas, componibili secondo modalità differenti e la serie delle “Nature”, realizzate ad Albissola, grandi sculture sferiche o forme bivalvi complementari in terracotta attraversate da squarci e tagli. Le prime, chiamate familiarmente dall’artista “palloni” sono esposte per la prima volta a Palazzo Grassi a Venezia (1960) e in due importanti personali alla Galleria Pagani del Grattacielo di Milano (1961) e alla Galerie Iris Clert a Parigi (1961).


1961-1968
Le mostre internazionali, la Biennale del ’66 e l’ultimo periodo a Comabbio

Dall’inizio degli anni Sessanta, Fontana si concentra con particolare impegno sulla serie degli “Olii”, opere su tela dove lo spesso strato di materia pittorica è attraversato da buchi o lacerazioni. A questa serie appartengono le opere dedicate alla città di Venezia, esposte alla sua prima mostra personale statunitense alla Martha Jackson Gallery di New York (1961). Nello stesso anno, ispirato dalla metropoli newyorkese, concepisce anche una nuova tipologia di lavori: i “Metalli”, lamiere specchianti su cui interviene squarciando e tagliando la superficie. Sempre alla prima metà degli anni Sessanta risale la serie delle “Fine di Dio”, tele di forma ovale, monocrome o talvolta cosparse di lustrini, attraversate da buchi e lacerazioni, presentate nel 1963 alla Gimpel Hanover Galerie di Zurigo e alla Galleria dell’Ariete a Milano e l’anno seguente alla Galleria Iris Clert di Parigi. Contemporaneamente Fontana lavora alla serie dei “Teatrini”, opere in cui le tele forate sono inserite in cornici di legno laccato sagomato. Sono anni di intensa ricerca e attività, che valgono a Fontana un riconoscimento internazionale a diverse importanti occasioni espositive, tra cui, oltre a quelle citate, le personali alla Galleria Mc Robert’s and Tunnard di Londra (1960, 1961), allo Städtisches Museum di Leverkusen (1962), alla Tokyo Gallery di Tokyo (1962).

Per tutti gli anni Sessanta Fontana approfondisce anche la ricerca ambientale avviata con l’Ambiente spaziale a luce nera, con una serie di “Ambienti spaziali” concepiti per mostre collettive (Venezia, Palazzo Grassi, 1960; Milano, XIII Triennale, insieme a Nanda Vigo, 1964; Foligno, Palazzo Trinci, 1967; Kassel, Documenta 4, 1968; Venezia, XXXIV Biennale, 1968), così come per le importanti personali a lui dedicate (Minneapolis, Walker Art Center, 1966; Amsterdam, Stedelijk Museum, 1967; Genova, Galleria del Deposito, 1967).

Nel 1966 alla XXXIII Biennale di Venezia collabora con l’architetto Carlo Scarpa creando un ambiente ovale labirintico illuminato da una luce bianca dove sono esposte entro nicchie cinque tele bianche attraversate da un unico taglio: opera dall’eco straordinaria che vince il premio per la pittura.

Al 1967 risalgono infine alcune nuove sperimentazioni come sculture in metallo laccato su cui tagli e buchi sono realizzati meccanicamente e la serie delle “Ellissi”: tavole ellittiche di legno laccato variamente colorate e attraversate da buchi eseguiti a macchina, con cui Fontana esplora un linguaggio che si pone al di là del confine che separa pittura e scultura. Queste ultime sono esposte nello stesso anno alla Galleria Marlborough di Roma, alla Galleria La Bussola di Torino e alla Galerie Alexandre Iolas a New York.

All’inizio del 1968 Lucio Fontana lascia il suo studio di Corso Monforte e si trasferisce a Comabbio (VA), ove continua a lavorare con particolare attenzione alla serie dei “Buchi” e dei “Tagli”.

Muore all’età di 69 anni a Varese il 7 settembre dello stesso anno.


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